COME CI SI MUOVEVA

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Antiche barche da pesca

Trabaccolo da pesca (Barchet) e 'Bragozzo "San Nicolò"' naviganti Vengono mantenute naviganti allo scopo di preservare e tramandare le antiche tecniche della navigazione con vela al terzo. Nel periodo estivo partecipano a raduni di barche d'epoca e a rievocazioni storiche.
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Cesenatico
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Trabaccolo da pesca (Barchet) e 'Bragozzo "San Nicolò"' naviganti Vengono mantenute naviganti allo scopo di preservare e tramandare le antiche tecniche della navigazione con vela al terzo. Nel periodo estivo partecipano a raduni di barche d'epoca e a rievocazioni storiche.
Pielego Il pièlego, talvolta citato anche come pièlago, è stata un'imbarcazione tipica del medio e alto Adriatico. Versione ridotta del trabaccolo, era dotato di due alberi muniti di vela al terzo e randa, le dimensioni non superavano i 18 metri di lunghezza, 5,5 metri di larghezza e 2,4 metri di altezza, con portata di 100 tonnellate circa fu utilizzata per la pesca e/o il carico di merci sino ai primi anni del XX secolo.
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Pielego Il pièlego, talvolta citato anche come pièlago, è stata un'imbarcazione tipica del medio e alto Adriatico. Versione ridotta del trabaccolo, era dotato di due alberi muniti di vela al terzo e randa, le dimensioni non superavano i 18 metri di lunghezza, 5,5 metri di larghezza e 2,4 metri di altezza, con portata di 100 tonnellate circa fu utilizzata per la pesca e/o il carico di merci sino ai primi anni del XX secolo.
Trabaccolo da pesca (Barchet) Il trabaccolo è una barca tipica della costa romagnola, caratterizzata dall'ampia prua "a petto d'anatra" e dagli occhi in rilievo. Era solida, adatta alla pesca a strascico, di lunghezza variabile da 12 a 16 m. In alcuni periodi dell'anno alternava la pesca con il trasporto. Aveva un albero di maestra e trinchetto, entrambi con vele al terzo, anch'esse decorate con figure e simboli.
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Cattolica
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Trabaccolo da pesca (Barchet) Il trabaccolo è una barca tipica della costa romagnola, caratterizzata dall'ampia prua "a petto d'anatra" e dagli occhi in rilievo. Era solida, adatta alla pesca a strascico, di lunghezza variabile da 12 a 16 m. In alcuni periodi dell'anno alternava la pesca con il trasporto. Aveva un albero di maestra e trinchetto, entrambi con vele al terzo, anch'esse decorate con figure e simboli.
Il bracozzo Barca a fondo piatto originaria della città di Chioggia i cui abili pescatori la utilizzarono in tutto l'alto e medio Adriatico. Il bragozzo aveva ottime caratteristiche di navigazione ed era molto adatto alla pesca a strascico. Gli scafi, sempre dipinti di nero, erano riccamente decorati a prua, in genere con figure di angeli. Aveva albero di maestra e trinchetto, quest'ultimo più piccolo e inclinato in avanti, entrambi armati con vele al terzo decorate con simboli che indicavano il capofamiglia (paròn).
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Il bracozzo Barca a fondo piatto originaria della città di Chioggia i cui abili pescatori la utilizzarono in tutto l'alto e medio Adriatico. Il bragozzo aveva ottime caratteristiche di navigazione ed era molto adatto alla pesca a strascico. Gli scafi, sempre dipinti di nero, erano riccamente decorati a prua, in genere con figure di angeli. Aveva albero di maestra e trinchetto, quest'ultimo più piccolo e inclinato in avanti, entrambi armati con vele al terzo decorate con simboli che indicavano il capofamiglia (paròn).
Bragozzo d'altura Variante di maggiori dimensioni del bragozzo, utilizzata per la pesca d'altura. Le campagne di pesca in alto mare duravano anche molti giorni e richiedevano una solida organizzazione. Solitamente i bragozzi d'altura pescavano riuniti in piccole flotte e utilizzavano imbarcazioni più piccole per il trasporto a terra del pescato.
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Cervia
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Bragozzo d'altura Variante di maggiori dimensioni del bragozzo, utilizzata per la pesca d'altura. Le campagne di pesca in alto mare duravano anche molti giorni e richiedevano una solida organizzazione. Solitamente i bragozzi d'altura pescavano riuniti in piccole flotte e utilizzavano imbarcazioni più piccole per il trasporto a terra del pescato.
Battana Barca semplice ed economica, molto versatile per la pesca costiera. Aveva un solo albero con vela al terzo e polaccone (fiocco). Il fondo era piatto e ogni pezzo della struttura era rettilineo e quindi facilmente reperibile. Dipinta con colori vivaci, al posto degli occhi a prua aveva raffigurate due stelle. Quando cadeva nel cavo dell'onda batteva con fragore: da questo forse deriva il suo nome.
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Cervia
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Battana Barca semplice ed economica, molto versatile per la pesca costiera. Aveva un solo albero con vela al terzo e polaccone (fiocco). Il fondo era piatto e ogni pezzo della struttura era rettilineo e quindi facilmente reperibile. Dipinta con colori vivaci, al posto degli occhi a prua aveva raffigurate due stelle. Quando cadeva nel cavo dell'onda batteva con fragore: da questo forse deriva il suo nome.
Lancia Barca molto diffusa, caratterizzata da prua e poppa verticali, con un solo albero di vela al terzo (due per il tipo più grande del "lancione"). Ogni lancia in genere era portata da un pescatore e da un ragazzo, di solito uomini indipendenti che non si adattavano volentieri a far parte dell'equipaggio di barche più grandi. Esercitavano pesca a strascico o piccola pesca costiera.
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Ravenna
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Lancia Barca molto diffusa, caratterizzata da prua e poppa verticali, con un solo albero di vela al terzo (due per il tipo più grande del "lancione"). Ogni lancia in genere era portata da un pescatore e da un ragazzo, di solito uomini indipendenti che non si adattavano volentieri a far parte dell'equipaggio di barche più grandi. Esercitavano pesca a strascico o piccola pesca costiera.
Topo Come il bragozzo anche il topo è una barca tipica della laguna di Venezia, dove viene tuttora utilizzato nella sua versione motorizzata (mototopo). Di lunghezza variabile da 6 a 10 m, era una barca molto agile e veloce, dal fondo piatto allungato alle estremità per facilitarne il disimpegno in caso di arenamento. Armata di un solo albero con vela al terzo, era adatta anche alla voga. Pescava principalmente con i parangali, oppure era usata per il trasporto veloce del pescato dalle flotte d'alto mare ai porti di vendita, operazione che veniva detta portolata.
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Topo Come il bragozzo anche il topo è una barca tipica della laguna di Venezia, dove viene tuttora utilizzato nella sua versione motorizzata (mototopo). Di lunghezza variabile da 6 a 10 m, era una barca molto agile e veloce, dal fondo piatto allungato alle estremità per facilitarne il disimpegno in caso di arenamento. Armata di un solo albero con vela al terzo, era adatta anche alla voga. Pescava principalmente con i parangali, oppure era usata per il trasporto veloce del pescato dalle flotte d'alto mare ai porti di vendita, operazione che veniva detta portolata.
Paranza Originaria delle coste marchigiane e abruzzesi, era simile al trabaccolo per la prua ampia e ricurva "a petto d'anatra". Si distingueva però dalle altre barche originarie dell'alto Adriatico per il lungo pennone superiore, ricordo della vela latina, che equipaggiò a lungo queste imbarcazioni prima di essere soppiantata dalla più pratica vela al terzo. È decorata da occhi in rilievo e da una berretta rossa al colmo della prua. Il suo nome deriva dal fatto che praticava la pesca a strascico in coppia con un'altra, procedendo "a paro".
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Rimini
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Paranza Originaria delle coste marchigiane e abruzzesi, era simile al trabaccolo per la prua ampia e ricurva "a petto d'anatra". Si distingueva però dalle altre barche originarie dell'alto Adriatico per il lungo pennone superiore, ricordo della vela latina, che equipaggiò a lungo queste imbarcazioni prima di essere soppiantata dalla più pratica vela al terzo. È decorata da occhi in rilievo e da una berretta rossa al colmo della prua. Il suo nome deriva dal fatto che praticava la pesca a strascico in coppia con un'altra, procedendo "a paro".
Trabaccolo da trasporto Il trabaccolo da trasporto "Giovanni Pascoli" è l'ammiraglia del Museo della Marineria. Dopo il varo, avvenuto il 16 maggio del 1936, il "Giovanni Pascoli" fu impegnato per traffici marittimi con la costa jugoslava. Nel 1953 l'imbarcazione fu condotta a Vieste e nel 1960 fu trasferita ancora a nord, proprietà di armatori di Trieste. Rimase in quel porto finché, cessato di navigare, fu usata saltuariamente per il trasporto di sabbia lungo un fiume. Andò in disarmo lungo la sacchetta di Trieste insieme ad un altro trabaccolo, il "Cromo". Nel 1980 il suo scafo, camuffato da nave veneta del Settecento, fu utilizzato per le riprese dello sceneggiato televisivo Marco Polo. L'Azienda di Soggiorno di Cesenatico acquistò il trabaccolo nel 1983 per completare la sezione galleggiante del Museo.
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Rimini
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Trabaccolo da trasporto Il trabaccolo da trasporto "Giovanni Pascoli" è l'ammiraglia del Museo della Marineria. Dopo il varo, avvenuto il 16 maggio del 1936, il "Giovanni Pascoli" fu impegnato per traffici marittimi con la costa jugoslava. Nel 1953 l'imbarcazione fu condotta a Vieste e nel 1960 fu trasferita ancora a nord, proprietà di armatori di Trieste. Rimase in quel porto finché, cessato di navigare, fu usata saltuariamente per il trasporto di sabbia lungo un fiume. Andò in disarmo lungo la sacchetta di Trieste insieme ad un altro trabaccolo, il "Cromo". Nel 1980 il suo scafo, camuffato da nave veneta del Settecento, fu utilizzato per le riprese dello sceneggiato televisivo Marco Polo. L'Azienda di Soggiorno di Cesenatico acquistò il trabaccolo nel 1983 per completare la sezione galleggiante del Museo.
Il recupero del "Marin Faliero", il più antico esemplare di trabaccolo dell'Adriatico Dall’entroterra trevigiano a Rimini, per essere restaurato negli stessi cantieri dove vide la luce, poco più di un secolo fa. Il suo ultimo viaggio il trabaccolo "Marin Faliero" lo farà su gomma. Tra qualche giorno sarà issato su un veicolo a sei assi che, viaggiando soprattutto di notte, percorrerà ai 40 all'ora i 300 chilometri che separano i cantieri della Nautica Biondi a Casale sul Sile, in provincia di Treviso, dal cantiere Gori di Rimini, dove i maestri d'ascia cercheranno di riportarlo all'antico splendore. Ma questa storica imbarcazione da trasporto, unica superstite di una gloriosa dinastia che per circa due secoli ha rappresentato il principale mezzo per il cabotaggio delle merci tra le coste adriatiche, ha rischiato davvero tanto. Poco considerato dai suoi ultimi armatori, -gli imprenditori trevigiani Panto che l'acquisirono nel 1992 con l'isola di Crevan, nella Laguna Nord di Venezia, intestandone la proprietà alla Teodolinda s.r.l., il Marin Faliero era poi stato trasferito a Treviso dove giaceva da anni semisommerso lungo il corso del Sile. È stato proprio questo stato di abbandono che ha permesso a Nausicaa, il Nucleo Archeologia Umida Subacquea Centro Alto Adriatico (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche) afferente alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, di salvarlo. L’essere semi-affondato e in stato di incuria ha fatto si che l’imbarcazione passasse dallo stato di “bene etnografico” a quello di “relitto”, il che ha permesso alla Soprintendenza di avviare le pratiche per la notifica di "bene culturale di interesse nazionale". Il Trabaccolo "Marin Faliero" spiega Luigi Fozzati, direttore di Nausicaa, è oggi l'ultimo ed unico testimone della grande tradizione navale adriatica e la sua perdita rappresenterebbe un danno culturale senza pari. Questa imbarcazione è un unicum e il suo recupero è importante sotto il profilo storico-archeologico: i dati archivistici, documentari e storici non possono supplire alla conservazione di quello che è un autentico "reperto" che ha segnato la storia economica dell'Adriatico per quasi due secoli. Nell'Ottocento, dei 300 trabaccoli naviganti nell'Adriatico almeno la metà erano nel porto di Rimini. Il "Marin Faliero" è l'ultimo del XIX sec. esistente in tutto il Mare Adriatico (gli altri due trabaccoli ancora esistenti sono stati costruiti nel XX sec.). Com'è: semiaffondato a Casale sul Sile (TV). Varato il 15/7/1899, il Marin Faliero era stato costruito a Rimini nel cantiere di Domenico Magnani (dati dai registri del Compartimento Marittimo di Rimini). Ironia della sorte, il trabaccolo porta il nome proprio del Doge che, prima di diventare la massima carica della Serenissima, fu potestà di Treviso, l’unico a non avere il ritratto nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale per aver tramato contro la Repubblica di Venezia (tradimento che gli costò la testa venerdì 17/4/1355). Lungo 21,50 m, largo 5,60 e con una portata di 70 tonnellate, il Marin Faliero è il tipico trabaccolo da trasporto, di costruzione semplice, ad un solo ponte e con due alberi armati con vele al terzo. A partire dal 1800 questo tipo di imbarcazione si era imposta come mezzo ideale per il trasporto di merci povere tra le due sponde dell'Adriatico (carbone, legna, pietre, ghiaia, sabbia, cocomeri, farina, talvolta botti di vino). Agile nelle manovre e sicuro in mare, il trabaccolo aveva l’ampia prora decorata da due grossi occhi apotropaici che resteranno sempre la sua caratteristica più vistosa. Visto l'interesse nato attorno a questo cimelio e in attesa della notifica da parte della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, la proprietaria Teodolinda s.r.l. si è dichiarata disponibile alla donazione del trabaccolo che ora rientrerà a Rimini per il restauro. Una scelta più che condivisa anche da Luigi Fozzati che ritiene “giusto che ritorni dov’è stato costruito e dove c’è un tessuto sociale e culturale pronto a prendersene amorevolmente cura”. Da anni infatti l’Associazione Vele al Terzo di Rimini lavora per riportare il Marin Faliero nella sua città natale, anche grazie ai contributi di cittadini e di Romagna Acque, Provincia di Rimini, CNA, CBR e Fondazione Carim. Ora il Marin Faliero sarà affidato alle capaci mani dei “sarti della nautica” del cantiere Gori di Rimini che eseguiranno il restauro sotto la direzione scientifica delle due Soprintendenze Archeologiche coinvolte nel progetto (Veneto ed Emilia-Romagna). Difficile dire se, come auspicano i riminesi, si riuscirà a renderlo nuovamente navigante. Certo è che, dopo averne scongiurato la distruzione, il ritorno a Rimini del Marin Faliero è un evento straordinario per la città e una grande opportunità per promuoverne la storia e tradizione marinara.
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Cesenatico
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Il recupero del "Marin Faliero", il più antico esemplare di trabaccolo dell'Adriatico Dall’entroterra trevigiano a Rimini, per essere restaurato negli stessi cantieri dove vide la luce, poco più di un secolo fa. Il suo ultimo viaggio il trabaccolo "Marin Faliero" lo farà su gomma. Tra qualche giorno sarà issato su un veicolo a sei assi che, viaggiando soprattutto di notte, percorrerà ai 40 all'ora i 300 chilometri che separano i cantieri della Nautica Biondi a Casale sul Sile, in provincia di Treviso, dal cantiere Gori di Rimini, dove i maestri d'ascia cercheranno di riportarlo all'antico splendore. Ma questa storica imbarcazione da trasporto, unica superstite di una gloriosa dinastia che per circa due secoli ha rappresentato il principale mezzo per il cabotaggio delle merci tra le coste adriatiche, ha rischiato davvero tanto. Poco considerato dai suoi ultimi armatori, -gli imprenditori trevigiani Panto che l'acquisirono nel 1992 con l'isola di Crevan, nella Laguna Nord di Venezia, intestandone la proprietà alla Teodolinda s.r.l., il Marin Faliero era poi stato trasferito a Treviso dove giaceva da anni semisommerso lungo il corso del Sile. È stato proprio questo stato di abbandono che ha permesso a Nausicaa, il Nucleo Archeologia Umida Subacquea Centro Alto Adriatico (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche) afferente alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, di salvarlo. L’essere semi-affondato e in stato di incuria ha fatto si che l’imbarcazione passasse dallo stato di “bene etnografico” a quello di “relitto”, il che ha permesso alla Soprintendenza di avviare le pratiche per la notifica di "bene culturale di interesse nazionale". Il Trabaccolo "Marin Faliero" spiega Luigi Fozzati, direttore di Nausicaa, è oggi l'ultimo ed unico testimone della grande tradizione navale adriatica e la sua perdita rappresenterebbe un danno culturale senza pari. Questa imbarcazione è un unicum e il suo recupero è importante sotto il profilo storico-archeologico: i dati archivistici, documentari e storici non possono supplire alla conservazione di quello che è un autentico "reperto" che ha segnato la storia economica dell'Adriatico per quasi due secoli. Nell'Ottocento, dei 300 trabaccoli naviganti nell'Adriatico almeno la metà erano nel porto di Rimini. Il "Marin Faliero" è l'ultimo del XIX sec. esistente in tutto il Mare Adriatico (gli altri due trabaccoli ancora esistenti sono stati costruiti nel XX sec.). Com'è: semiaffondato a Casale sul Sile (TV). Varato il 15/7/1899, il Marin Faliero era stato costruito a Rimini nel cantiere di Domenico Magnani (dati dai registri del Compartimento Marittimo di Rimini). Ironia della sorte, il trabaccolo porta il nome proprio del Doge che, prima di diventare la massima carica della Serenissima, fu potestà di Treviso, l’unico a non avere il ritratto nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale per aver tramato contro la Repubblica di Venezia (tradimento che gli costò la testa venerdì 17/4/1355). Lungo 21,50 m, largo 5,60 e con una portata di 70 tonnellate, il Marin Faliero è il tipico trabaccolo da trasporto, di costruzione semplice, ad un solo ponte e con due alberi armati con vele al terzo. A partire dal 1800 questo tipo di imbarcazione si era imposta come mezzo ideale per il trasporto di merci povere tra le due sponde dell'Adriatico (carbone, legna, pietre, ghiaia, sabbia, cocomeri, farina, talvolta botti di vino). Agile nelle manovre e sicuro in mare, il trabaccolo aveva l’ampia prora decorata da due grossi occhi apotropaici che resteranno sempre la sua caratteristica più vistosa. Visto l'interesse nato attorno a questo cimelio e in attesa della notifica da parte della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, la proprietaria Teodolinda s.r.l. si è dichiarata disponibile alla donazione del trabaccolo che ora rientrerà a Rimini per il restauro. Una scelta più che condivisa anche da Luigi Fozzati che ritiene “giusto che ritorni dov’è stato costruito e dove c’è un tessuto sociale e culturale pronto a prendersene amorevolmente cura”. Da anni infatti l’Associazione Vele al Terzo di Rimini lavora per riportare il Marin Faliero nella sua città natale, anche grazie ai contributi di cittadini e di Romagna Acque, Provincia di Rimini, CNA, CBR e Fondazione Carim. Ora il Marin Faliero sarà affidato alle capaci mani dei “sarti della nautica” del cantiere Gori di Rimini che eseguiranno il restauro sotto la direzione scientifica delle due Soprintendenze Archeologiche coinvolte nel progetto (Veneto ed Emilia-Romagna). Difficile dire se, come auspicano i riminesi, si riuscirà a renderlo nuovamente navigante. Certo è che, dopo averne scongiurato la distruzione, il ritorno a Rimini del Marin Faliero è un evento straordinario per la città e una grande opportunità per promuoverne la storia e tradizione marinara.

Treno a vapore

TRENO A VAPORE PER MARRADI - SAGRA DELLE CASTAGNE Un suggestivo viaggio alla scoperta dei sapori d’autunno a bordo di storiche carrozze Centoporte e Corbellini trainate da locomotiva a vapore. Giunti alla stazione di Marradi i viaggiatori potranno recarsi a piedi nel centro del paese per partecipare alla Sagra, dove tra le vie animate da artisti di strada e musicisti itineranti, saranno presenti stand gastronomici con le tradizionali leccornie a base del famoso "Marrone di Marradi" e sarà possibile acquistare i classici prodotti del bosco e sottobosco, oltreché altri prodotti artigianali e commerciali.
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Marradi
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TRENO A VAPORE PER MARRADI - SAGRA DELLE CASTAGNE Un suggestivo viaggio alla scoperta dei sapori d’autunno a bordo di storiche carrozze Centoporte e Corbellini trainate da locomotiva a vapore. Giunti alla stazione di Marradi i viaggiatori potranno recarsi a piedi nel centro del paese per partecipare alla Sagra, dove tra le vie animate da artisti di strada e musicisti itineranti, saranno presenti stand gastronomici con le tradizionali leccornie a base del famoso "Marrone di Marradi" e sarà possibile acquistare i classici prodotti del bosco e sottobosco, oltreché altri prodotti artigianali e commerciali.

La rotta del sale

LA ROTTA DEL SALE Un percorso bike in natura che attraversa il Parco del Delta Po toccando sia la parte emiliano-romagnola sia quella veneta. Da Cervia a Venezia per un totale di 278 km in un itinerario che si affianca alla tradizionale Rotta del Sale via mare, che da secoli le barche storiche percorrono col loro carico di sale dalla Salina di Cervia fino alla Serenissima. Tra aree e riserve naturali di grande pregio arriveremo a lambire le Pinete Ravennati, la Foce del Bevano, le Valli di Comacchio e del Delta Veneto, l’Oasi di Volano, la Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola, la Laguna di Venezia…toccando però con mano le bellezze artistiche delle città di Ravenna, Comacchio, Chioggia e Venezia. L’itinerario può essere suddiviso in sei parti: 1. Cervia – Ravenna (23 km) 2. Ravenna – Marina di Romea (27 km) 3. Marina di Romea – Comacchio (48 km) 4. Comacchio – Porto Tolle (73 km) 5. Porto Tolle – Chioggia (65 km) 6. Chioggia – Venezia (46 km, di cui 8 di navigazione) DETTAGLI LUNGHEZZA: 278 km – dislivello pianeggiante FONDO: strade bianche, sentieri, piste ciclabili, asfalto TIPOLOGIA BICI: mountain bike, trekking bike, gravel.
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Cervia
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LA ROTTA DEL SALE Un percorso bike in natura che attraversa il Parco del Delta Po toccando sia la parte emiliano-romagnola sia quella veneta. Da Cervia a Venezia per un totale di 278 km in un itinerario che si affianca alla tradizionale Rotta del Sale via mare, che da secoli le barche storiche percorrono col loro carico di sale dalla Salina di Cervia fino alla Serenissima. Tra aree e riserve naturali di grande pregio arriveremo a lambire le Pinete Ravennati, la Foce del Bevano, le Valli di Comacchio e del Delta Veneto, l’Oasi di Volano, la Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola, la Laguna di Venezia…toccando però con mano le bellezze artistiche delle città di Ravenna, Comacchio, Chioggia e Venezia. L’itinerario può essere suddiviso in sei parti: 1. Cervia – Ravenna (23 km) 2. Ravenna – Marina di Romea (27 km) 3. Marina di Romea – Comacchio (48 km) 4. Comacchio – Porto Tolle (73 km) 5. Porto Tolle – Chioggia (65 km) 6. Chioggia – Venezia (46 km, di cui 8 di navigazione) DETTAGLI LUNGHEZZA: 278 km – dislivello pianeggiante FONDO: strade bianche, sentieri, piste ciclabili, asfalto TIPOLOGIA BICI: mountain bike, trekking bike, gravel.

Tranviaria

Tranvia Forlì-Meldola La tranvia Forlì-Meldola era una linea tranviaria interurbana, esercita a vapore, che collegava la cittadina di Meldola al suo capoluogo di provincia, Forlì. Storia Negli anni settanta del XIX sec. fiorirono svariate proposte per la costruzione di ferrovie locali intorno a Forlì. Nel 1879 l'avv. meldolese Giovanni Brusaporci e il forlivese Giulio Romagnoli proposero una tranvia da Forlì a Meldola e costituirono una società assieme alla banca dei torinesi Tachis e Levi che il 26/9/1881 ottenne la concessione per costruire ed esercire la linea. La tranvia venne inaugurata il 19/11/1881 e conobbe fin dall'inizio un buon successo di traffico, la società iniziò a costruire anche la linea Forlì-Ravenna, attivata due anni dopo. Nel 1884 l'esercizio delle linee passò alla Società Anonima dei Tramways delle Romagne (SATR), a capitale belga, che potenziò il servizio e il parco rotabili. La linea continuò il suo servizio per decenni senza modifiche di rilievo, tanto che dopo la prima guerra mondiale non risultava concorrenziale con i nuovi servizi automobilistici. L'esercizio cessò l'11/1/1930, sostituito da un'autolinea concessa alla SITA. Caratteristiche tecniche La linea, lunga 12 km, era armata con rotaie Vignoles da 18 kg/m. Lo scartamento era metrico. Il tram viaggiava ad una velocità massima di 20 km/h, che si riducevano a 6 km/h per l'attraversamento dei centri abitati, impiegando 55 minuti a percorrere l'intera linea. Percorso La linea aveva origine a Forlì in una stazione comune alla linea per Ravenna, posta lateralmente a via Alfredo Oriani e presso la quale avevano sede il deposito-officina e la direzione di esercizio. Sempre a Forlì rimase per pochi anni in esercizio una breve diramazione urbana fra Piazzale della Vittoria e Piazza Vittorio Emanuele II (poi piazza Aurelio Saffi), lungo l'allora Corso Vittorio Emanuele (poi corso della Repubblica). Lasciata la città, la tranvia imboccava la Strada statale 9 Via Emilia fino alla località di Ronco, dove svoltava verso sud percorrendo la strada per Meldola costituita da viale Bidente, la cui prima parte fu successivamente interrotta per la costruzione dell'aeroporto di Forlì. La stazione capolinea di Meldola è divenuta la sede del consorzio agrario.
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Meldola
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Tranvia Forlì-Meldola La tranvia Forlì-Meldola era una linea tranviaria interurbana, esercita a vapore, che collegava la cittadina di Meldola al suo capoluogo di provincia, Forlì. Storia Negli anni settanta del XIX sec. fiorirono svariate proposte per la costruzione di ferrovie locali intorno a Forlì. Nel 1879 l'avv. meldolese Giovanni Brusaporci e il forlivese Giulio Romagnoli proposero una tranvia da Forlì a Meldola e costituirono una società assieme alla banca dei torinesi Tachis e Levi che il 26/9/1881 ottenne la concessione per costruire ed esercire la linea. La tranvia venne inaugurata il 19/11/1881 e conobbe fin dall'inizio un buon successo di traffico, la società iniziò a costruire anche la linea Forlì-Ravenna, attivata due anni dopo. Nel 1884 l'esercizio delle linee passò alla Società Anonima dei Tramways delle Romagne (SATR), a capitale belga, che potenziò il servizio e il parco rotabili. La linea continuò il suo servizio per decenni senza modifiche di rilievo, tanto che dopo la prima guerra mondiale non risultava concorrenziale con i nuovi servizi automobilistici. L'esercizio cessò l'11/1/1930, sostituito da un'autolinea concessa alla SITA. Caratteristiche tecniche La linea, lunga 12 km, era armata con rotaie Vignoles da 18 kg/m. Lo scartamento era metrico. Il tram viaggiava ad una velocità massima di 20 km/h, che si riducevano a 6 km/h per l'attraversamento dei centri abitati, impiegando 55 minuti a percorrere l'intera linea. Percorso La linea aveva origine a Forlì in una stazione comune alla linea per Ravenna, posta lateralmente a via Alfredo Oriani e presso la quale avevano sede il deposito-officina e la direzione di esercizio. Sempre a Forlì rimase per pochi anni in esercizio una breve diramazione urbana fra Piazzale della Vittoria e Piazza Vittorio Emanuele II (poi piazza Aurelio Saffi), lungo l'allora Corso Vittorio Emanuele (poi corso della Repubblica). Lasciata la città, la tranvia imboccava la Strada statale 9 Via Emilia fino alla località di Ronco, dove svoltava verso sud percorrendo la strada per Meldola costituita da viale Bidente, la cui prima parte fu successivamente interrotta per la costruzione dell'aeroporto di Forlì. La stazione capolinea di Meldola è divenuta la sede del consorzio agrario.
Tranvia Forlì-Ravenna La tranvia Forlì-Ravenna era una linea tranviaria interurbana a vapore che collegò Forlì a Ravenna tra il 1883 e il 1929. Storia Negli anni settanta del XIX sec., Ravenna godeva di un unico collegamento ferroviario, una diramazione della linea Bologna-Ancona che metteva il capoluogo romagnolo in collegamento con Castel Bolognese. Forlì dista in linea d'aria da Ravenna meno di 30 km, ma il collegamento su strada ferrata era lungo 61 km. La gestione Brusaporci La domanda per una tranvia a vapore che unisse le due città fu avanzata alle rispettive province da due uomini d'affari, l'ingegner Giulio Romagnoli di Forlì e Giovanni Brusaporci di Meldola, nella primavera del 1879. Gli stessi avevano proposto all'ente provinciale forlivese anche un collegamento Forlì-Ronco-Meldola. Nel 1881 tale linea fu aperta all'esercizio, mentre per la linea verso il ravennate occorse più tempo. Gli studi furono ultimati solo nel 1882; il benestare ministeriale arrivò il 17 gennaio dell'anno seguente e quindi solo il 30 giugno Brusaporci firmò il capitolato che gli concesse l'esercizio della tranvia. L'apertura al servizio passeggeri avvenne il 10/11/1883, mentre quello merci fu avviato l'anno seguente. Il 7/11/1884, il tram giunse alla Darsena di Ravenna, nei pressi della stazione ferroviaria. Brusaporci avrebbe voluto che la tranvia attraversasse il centro cittadino, ma il consiglio comunale fu contrario all'idea, per cui il tracciato urbano aggirò il centro passando in mezzo al quartiere Garibaldi. La "Belga" Nel 1885, Brusaporci cedette la concessione alla Société Anonyme des Tramways des Romagnes, società di diritto belga [del gruppo Entreprise Generale de Travaux (Engetra). Con la "belga" furono acquisiti nuovi rotabili e si incrementò il traffico merci: negli anni seguenti furono aperti i raccordi con la Fonderia Forlanini di Forlì ed alcune fornaci, oltre alla linea Ravenna-Classe, di 4 km, inaugurata il 3/6/1900 e destinata prevalentemente al traffico generato dallo zuccherificio di Classe; la stessa società Ligure Ravennate, proprietaria dello zuccherificio, aveva infatti promosso la linea. Nello stesso tempo si incrementarono i disagi e le lamentele sia da parte degli abitanti delle zone attraversate dalla linea, sia dei suoi utenti. Nel 1906, il Comune ravennate chiese ed ottenne di trasferire i binari alle spalle del quartiere Garibaldi, dopo le lamentele dei suoi abitanti, le quali risalivano fin dal 1888. Fra il 1913 e il 1914 al tracciato da poco spostato si aggiunse un altro tronco, più esterno, che fu percorso dai soli treni merci diretti alla Darsena. Nel anni dieci del XX sec., la belga si propose per alcuni nuovi progetti tranviari come la linea Classe-Marina (1911) e la Ravenna-Porto Corsini (1912). Se per la prima richiesta non si ebbe alcuna prosecuzione concreta, per la seconda si ottenne una concessione su un progetto disegnato dall'ingegner Alfredo Poletti, ma i lavori non vennero avviati. Secondo il Giuntini (1996), il mancato inizio dei lavori può essere imputato al cambio di ragione sociale. Nel 1912, infatti la Belga divenne Società Anonima Tramways de Lombardie et Romagnes (SATLR), acquisendo la gestione diretta di altre linee tranviarie dell'Engetra in Italia. Durante la prima guerra mondiale, l'Ufficio Speciale delle Ferrovie ridusse le assegnazioni di coke, costringendo la SATLR ad interrompere il servizio nel giugno 1917. Fra il rilancio e la chiusura L'esercizio riprese nel dopoguerra, ma nel 1922 e nel 1923 la gestione tranviaria fu così deficitaria che la SATLR minacciò la chiusura della linea. Le due deputazioni provinciali furono d'accordo per sostituire l'obsoleta trazione a vapore con quella elettrica e aprirono le trattative con l'impresa belga. Ben presto alle province si aggiunse anche la Camera di Commercio di Ravenna, intenzionata a favorire la sostituzione dei belgi con nuovi concessionari. Nel 1924 si avviarono le pratiche per elettrificare la linea e prolungarla fino a Porto Corsini. Le province avrebbero riscattato sia la Forlì-Ravenna sia la Meldola-Forlì, mentre la Banca Tecnica Industriale le avrebbe ristrutturate ed elettrificate, ottenendone in cambio l'esercizio. Anche questo progetto, tuttavia, finì in un nulla di fatto. Il traffico merci cessò il 31/12/1929, mentre quello viaggiatorì proseguì fino al successivo 10/1/1930. Caratteristiche La linea era una tranvia interurbana a binario semplice lunga 27 km. Lo scartamento adottato era metrico, con rotaie da 18 kg/m posate in spezzoni da 7,50 m. Per il servizio erano impiegate locomotive a vapore di tipo tranviario che potevano rimorchiare fino a cinque carrozze. La velocità massima consentita fu fissata a 20 km/h nei tratti extraurbani e 6 km/h, con accompagnamento da parte del personale, in quelli urbani. Il Giuntini (1996) riporta varie testimonianze per le quali i limiti sia di velocità e sia di rimorchi trainabili non vennero rispettati. La percorrenza risultava di 98 minuti. La linea per Classe era armata con rotaie Vignoles da 21 kg/m. Percorso Lasciata Ravenna e superato un primo punto d'incrocio al Ponte della Cella, sul fiume Montone, il binario tranviario seguiva la via Ravegnana, lungo l'argine sinistro del fiume Ronco, servendo Longana, Ghibullo, Gambellara, Coccolia e Durazzanino e sovrappassando, dopo questa località, il canale Emiliano Romagnolo, per giungere al capolinea forlivese. A Forlì la stazione era comune alla linea per Meldola, posta lateralmente a via Alfredo Oriani e presso la quale avevano sede il deposito-officina e la direzione di esercizio. Sempre a Forlì rimase per pochi anni in esercizio una breve diramazione urbana fra Piazzale della Vittoria e Piazza Vittorio Emanuele II (attuale Piazza Aurelio Saffi), lungo l'allora Corso Vittorio Emanuele (poi Corso della Repubblica).
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Forli
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Tranvia Forlì-Ravenna La tranvia Forlì-Ravenna era una linea tranviaria interurbana a vapore che collegò Forlì a Ravenna tra il 1883 e il 1929. Storia Negli anni settanta del XIX sec., Ravenna godeva di un unico collegamento ferroviario, una diramazione della linea Bologna-Ancona che metteva il capoluogo romagnolo in collegamento con Castel Bolognese. Forlì dista in linea d'aria da Ravenna meno di 30 km, ma il collegamento su strada ferrata era lungo 61 km. La gestione Brusaporci La domanda per una tranvia a vapore che unisse le due città fu avanzata alle rispettive province da due uomini d'affari, l'ingegner Giulio Romagnoli di Forlì e Giovanni Brusaporci di Meldola, nella primavera del 1879. Gli stessi avevano proposto all'ente provinciale forlivese anche un collegamento Forlì-Ronco-Meldola. Nel 1881 tale linea fu aperta all'esercizio, mentre per la linea verso il ravennate occorse più tempo. Gli studi furono ultimati solo nel 1882; il benestare ministeriale arrivò il 17 gennaio dell'anno seguente e quindi solo il 30 giugno Brusaporci firmò il capitolato che gli concesse l'esercizio della tranvia. L'apertura al servizio passeggeri avvenne il 10/11/1883, mentre quello merci fu avviato l'anno seguente. Il 7/11/1884, il tram giunse alla Darsena di Ravenna, nei pressi della stazione ferroviaria. Brusaporci avrebbe voluto che la tranvia attraversasse il centro cittadino, ma il consiglio comunale fu contrario all'idea, per cui il tracciato urbano aggirò il centro passando in mezzo al quartiere Garibaldi. La "Belga" Nel 1885, Brusaporci cedette la concessione alla Société Anonyme des Tramways des Romagnes, società di diritto belga [del gruppo Entreprise Generale de Travaux (Engetra). Con la "belga" furono acquisiti nuovi rotabili e si incrementò il traffico merci: negli anni seguenti furono aperti i raccordi con la Fonderia Forlanini di Forlì ed alcune fornaci, oltre alla linea Ravenna-Classe, di 4 km, inaugurata il 3/6/1900 e destinata prevalentemente al traffico generato dallo zuccherificio di Classe; la stessa società Ligure Ravennate, proprietaria dello zuccherificio, aveva infatti promosso la linea. Nello stesso tempo si incrementarono i disagi e le lamentele sia da parte degli abitanti delle zone attraversate dalla linea, sia dei suoi utenti. Nel 1906, il Comune ravennate chiese ed ottenne di trasferire i binari alle spalle del quartiere Garibaldi, dopo le lamentele dei suoi abitanti, le quali risalivano fin dal 1888. Fra il 1913 e il 1914 al tracciato da poco spostato si aggiunse un altro tronco, più esterno, che fu percorso dai soli treni merci diretti alla Darsena. Nel anni dieci del XX sec., la belga si propose per alcuni nuovi progetti tranviari come la linea Classe-Marina (1911) e la Ravenna-Porto Corsini (1912). Se per la prima richiesta non si ebbe alcuna prosecuzione concreta, per la seconda si ottenne una concessione su un progetto disegnato dall'ingegner Alfredo Poletti, ma i lavori non vennero avviati. Secondo il Giuntini (1996), il mancato inizio dei lavori può essere imputato al cambio di ragione sociale. Nel 1912, infatti la Belga divenne Società Anonima Tramways de Lombardie et Romagnes (SATLR), acquisendo la gestione diretta di altre linee tranviarie dell'Engetra in Italia. Durante la prima guerra mondiale, l'Ufficio Speciale delle Ferrovie ridusse le assegnazioni di coke, costringendo la SATLR ad interrompere il servizio nel giugno 1917. Fra il rilancio e la chiusura L'esercizio riprese nel dopoguerra, ma nel 1922 e nel 1923 la gestione tranviaria fu così deficitaria che la SATLR minacciò la chiusura della linea. Le due deputazioni provinciali furono d'accordo per sostituire l'obsoleta trazione a vapore con quella elettrica e aprirono le trattative con l'impresa belga. Ben presto alle province si aggiunse anche la Camera di Commercio di Ravenna, intenzionata a favorire la sostituzione dei belgi con nuovi concessionari. Nel 1924 si avviarono le pratiche per elettrificare la linea e prolungarla fino a Porto Corsini. Le province avrebbero riscattato sia la Forlì-Ravenna sia la Meldola-Forlì, mentre la Banca Tecnica Industriale le avrebbe ristrutturate ed elettrificate, ottenendone in cambio l'esercizio. Anche questo progetto, tuttavia, finì in un nulla di fatto. Il traffico merci cessò il 31/12/1929, mentre quello viaggiatorì proseguì fino al successivo 10/1/1930. Caratteristiche La linea era una tranvia interurbana a binario semplice lunga 27 km. Lo scartamento adottato era metrico, con rotaie da 18 kg/m posate in spezzoni da 7,50 m. Per il servizio erano impiegate locomotive a vapore di tipo tranviario che potevano rimorchiare fino a cinque carrozze. La velocità massima consentita fu fissata a 20 km/h nei tratti extraurbani e 6 km/h, con accompagnamento da parte del personale, in quelli urbani. Il Giuntini (1996) riporta varie testimonianze per le quali i limiti sia di velocità e sia di rimorchi trainabili non vennero rispettati. La percorrenza risultava di 98 minuti. La linea per Classe era armata con rotaie Vignoles da 21 kg/m. Percorso Lasciata Ravenna e superato un primo punto d'incrocio al Ponte della Cella, sul fiume Montone, il binario tranviario seguiva la via Ravegnana, lungo l'argine sinistro del fiume Ronco, servendo Longana, Ghibullo, Gambellara, Coccolia e Durazzanino e sovrappassando, dopo questa località, il canale Emiliano Romagnolo, per giungere al capolinea forlivese. A Forlì la stazione era comune alla linea per Meldola, posta lateralmente a via Alfredo Oriani e presso la quale avevano sede il deposito-officina e la direzione di esercizio. Sempre a Forlì rimase per pochi anni in esercizio una breve diramazione urbana fra Piazzale della Vittoria e Piazza Vittorio Emanuele II (attuale Piazza Aurelio Saffi), lungo l'allora Corso Vittorio Emanuele (poi Corso della Repubblica).
La linea tranviaria extraurbana RIMINI-RICCIONE è stata aperta nel 1877 e 1926 e dismessa nel 1939, con scartamento di 1445 mm. La trazione era a cavalli e successivamente a 600 V cc. Gestita da: "Belga", Comune di Rimini, RATE, Tramvie Elettriche e SITA. Sostituita da una linea filoviaria.
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Riccione
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La linea tranviaria extraurbana RIMINI-RICCIONE è stata aperta nel 1877 e 1926 e dismessa nel 1939, con scartamento di 1445 mm. La trazione era a cavalli e successivamente a 600 V cc. Gestita da: "Belga", Comune di Rimini, RATE, Tramvie Elettriche e SITA. Sostituita da una linea filoviaria.
La linea tranviaria extraurbana LUGO-FUSIGNANO-ALFONSINE venne aperta nel 1884 e dismessa nel 1886 e trazione a vapore. Gestita da Società della tramvia a vapore Lugo-Fusignano-Alfonsine e Ravenna-Porto Corsini.
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Lugo
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La linea tranviaria extraurbana LUGO-FUSIGNANO-ALFONSINE venne aperta nel 1884 e dismessa nel 1886 e trazione a vapore. Gestita da Società della tramvia a vapore Lugo-Fusignano-Alfonsine e Ravenna-Porto Corsini.

Plaustro

Il plaustro è il massiccio carro agricolo romagnolo che risale all’epoca romana, dotato di quattro ruote, delle quali le due anteriori sono direzionali e connesse direttamente al timone. Abitualmente tirato da una o più coppie di buoi, è adibito al trasporto pesante. Spesso è dipinto a mano con colori vivaci e con decorazioni floreali. Secondo la tradizione e Maddalena Venturi (Granarolo Faentino 1860 – 1935), la più celebre “pittrice di carri”, sul fronte anteriore del pianale viene dipinta l’immagine di Sant’Antonio Abate con il maialino ai suoi piedi, protettore degli animali domestici, mentre sul fronte posteriore il medaglione con la Madonna delle Grazie e sotto di lei, sopra l’asse delle ruote, San Giorgio sul cavallo bianco mentre uccide il drago. Il plaustro è uno dei simboli della Romagna, tanto da venir scelto da Giovanni Pascoli quale titolo della rivista che Aldo Spallicci pubblica nel 1911 con l’obiettivo di rivalutare il patrimonio artistico e culturale in Romagna. Anche se meno conosciuto rispetto al “Gallo” e alla “Caveja” e lo si ritrova, quale elemento qualificante, nelle opere che riprendono le tradizioni del mondo contadino. Francesco Nonni (Faenza 1885-1976), uno dei padri fondanti la xilografia italiana, dotato di una tecnica e uno stile personale elegante, accurato e ricco di dettagli naturalistici ispirati alla tradizione romagnola, nel 1913 incide i cinque legni che realizzano “Il mosto” dove un plaustro colorato e decorato fa da sfondo a un movimentato gruppo di figure impegnate nella pigiatura dell’uva. Una delle prime “magnifiche sette”, pubblicata su “L’Eroica “ dello stesso anno e riproposta come tavola fuori testo ne “La Piè” dell’estate del 1921 e in “Xilografia”. Nitida, composita e di non facile lettura, la copertina de “La Piè” del luglio 1922 incisa da Francesco Olivucci (Forlì 1899- 1985), che presenta il carro visto da dietro con il timone sollevato, una coperta “da buoi” decorata appoggiata sull’angolo del pianale e, sotto il verricello si intravede un pagliaio. Olivucci è un artista poliedrico e di straordinarie capacità, che continuerà a dedicarsi alla xilografia realizzando fra il 1938 e il 1948 la serie che denuncia gli orrori del nazi-fascismo e quella che commemora i partigiani martiri della libertà. È della primavera del 1925 la copertina realizzata da Tommaso Della Volpe (Imola 1883-1967) dedicata al plaustro. Anche in questa è inquadrata, la parte posteriore con la Madonna delle Grazie , le roselline e le margherite, che fanno da architrave al formidabile intreccio rosso e blu delle funi da parata. Magistrale. Della Volpe, artista dalle molteplici passioni, dalla musica alla poesia, alla letteratura, alla velocità, quattro anni prima dipinge uno dei suoi capolavori “Le vele e i plaustri”. È il trionfo della Romagna. Le vele latine arancioni istoriate dei trabaccoli emergono da una foresta di corna di candidi buoi aggiogati a carri preziosamente decorati. Più didascalico ma sempre efficace e sensibile nella ricerca del vero è Giulio Cesare Vinzio (Livorno 1881- Milano 1940) che dipinge una suggestiva immagine del plaustro nella sua completezza formale. Allievo con Giovanni Fattori all’Accademia di Nudo di Firenze, dimostra la sua tecnica e la sua sensibilità onesta e sincera in solari scenografie romagnole. Giovanni Minguzzi (Bagnacavallo 1897 – Ravenna 1953) docente all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, illustratore, litografo, è autore di luminosi acquerelli uno dei quali è dedicato al plaustro, quasi una reliquia, abbandonato sul prato. Infine Angelo Ranzi (Forlì 1930 – 2019), artista polivalente di rara bravura, amico di Aldo Spallicci e collaboratore de “La Piè”, incide per la copertina estiva del 1985 i fantastici e suggestivi “due carri”.
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Forli
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Il plaustro è il massiccio carro agricolo romagnolo che risale all’epoca romana, dotato di quattro ruote, delle quali le due anteriori sono direzionali e connesse direttamente al timone. Abitualmente tirato da una o più coppie di buoi, è adibito al trasporto pesante. Spesso è dipinto a mano con colori vivaci e con decorazioni floreali. Secondo la tradizione e Maddalena Venturi (Granarolo Faentino 1860 – 1935), la più celebre “pittrice di carri”, sul fronte anteriore del pianale viene dipinta l’immagine di Sant’Antonio Abate con il maialino ai suoi piedi, protettore degli animali domestici, mentre sul fronte posteriore il medaglione con la Madonna delle Grazie e sotto di lei, sopra l’asse delle ruote, San Giorgio sul cavallo bianco mentre uccide il drago. Il plaustro è uno dei simboli della Romagna, tanto da venir scelto da Giovanni Pascoli quale titolo della rivista che Aldo Spallicci pubblica nel 1911 con l’obiettivo di rivalutare il patrimonio artistico e culturale in Romagna. Anche se meno conosciuto rispetto al “Gallo” e alla “Caveja” e lo si ritrova, quale elemento qualificante, nelle opere che riprendono le tradizioni del mondo contadino. Francesco Nonni (Faenza 1885-1976), uno dei padri fondanti la xilografia italiana, dotato di una tecnica e uno stile personale elegante, accurato e ricco di dettagli naturalistici ispirati alla tradizione romagnola, nel 1913 incide i cinque legni che realizzano “Il mosto” dove un plaustro colorato e decorato fa da sfondo a un movimentato gruppo di figure impegnate nella pigiatura dell’uva. Una delle prime “magnifiche sette”, pubblicata su “L’Eroica “ dello stesso anno e riproposta come tavola fuori testo ne “La Piè” dell’estate del 1921 e in “Xilografia”. Nitida, composita e di non facile lettura, la copertina de “La Piè” del luglio 1922 incisa da Francesco Olivucci (Forlì 1899- 1985), che presenta il carro visto da dietro con il timone sollevato, una coperta “da buoi” decorata appoggiata sull’angolo del pianale e, sotto il verricello si intravede un pagliaio. Olivucci è un artista poliedrico e di straordinarie capacità, che continuerà a dedicarsi alla xilografia realizzando fra il 1938 e il 1948 la serie che denuncia gli orrori del nazi-fascismo e quella che commemora i partigiani martiri della libertà. È della primavera del 1925 la copertina realizzata da Tommaso Della Volpe (Imola 1883-1967) dedicata al plaustro. Anche in questa è inquadrata, la parte posteriore con la Madonna delle Grazie , le roselline e le margherite, che fanno da architrave al formidabile intreccio rosso e blu delle funi da parata. Magistrale. Della Volpe, artista dalle molteplici passioni, dalla musica alla poesia, alla letteratura, alla velocità, quattro anni prima dipinge uno dei suoi capolavori “Le vele e i plaustri”. È il trionfo della Romagna. Le vele latine arancioni istoriate dei trabaccoli emergono da una foresta di corna di candidi buoi aggiogati a carri preziosamente decorati. Più didascalico ma sempre efficace e sensibile nella ricerca del vero è Giulio Cesare Vinzio (Livorno 1881- Milano 1940) che dipinge una suggestiva immagine del plaustro nella sua completezza formale. Allievo con Giovanni Fattori all’Accademia di Nudo di Firenze, dimostra la sua tecnica e la sua sensibilità onesta e sincera in solari scenografie romagnole. Giovanni Minguzzi (Bagnacavallo 1897 – Ravenna 1953) docente all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, illustratore, litografo, è autore di luminosi acquerelli uno dei quali è dedicato al plaustro, quasi una reliquia, abbandonato sul prato. Infine Angelo Ranzi (Forlì 1930 – 2019), artista polivalente di rara bravura, amico di Aldo Spallicci e collaboratore de “La Piè”, incide per la copertina estiva del 1985 i fantastici e suggestivi “due carri”.

Barroccio

Il barroccio (regionalmente anche biroccio, dal latino birotium o bi- roteus "a due ruote") è un veicolo a due ruote, utilizzato principalmente per trasportare oggetti.
In romagnolo “bròzz” di legno/ ferro Si tratta di un carro a due ruote con timone a due stanghe. Il piano di carico poggia sull'assale ed è costituito da assi longitudinali affiancate e da una barra di legno trasversale anteriore ed una posteriore; le due punte del timone sono rivestite di ferro ed attraversate da un foro in cui è infilato l'anello usato per legarvi l'animale da tiro. Lungo le assi esterne del piano di carico si trovano due passanti in ferro per parte, in cui sono fissate orizzontalmente tre assi distanziate, le quali vanno così a formare le sponde. L'oggetto presenta tracce di decorazione bordeaux lungo le sponde, i timoni e le ruote. Sul retro è provvisto di un catarifrangente rosso, mentre su un fianco sono inchiodate due targhe metalliche di identificazione. usato per il trasporto di merci e materiali vari nei lavori interni trainato da un cavallo
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Forlimpopoli
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In romagnolo “bròzz” di legno/ ferro Si tratta di un carro a due ruote con timone a due stanghe. Il piano di carico poggia sull'assale ed è costituito da assi longitudinali affiancate e da una barra di legno trasversale anteriore ed una posteriore; le due punte del timone sono rivestite di ferro ed attraversate da un foro in cui è infilato l'anello usato per legarvi l'animale da tiro. Lungo le assi esterne del piano di carico si trovano due passanti in ferro per parte, in cui sono fissate orizzontalmente tre assi distanziate, le quali vanno così a formare le sponde. L'oggetto presenta tracce di decorazione bordeaux lungo le sponde, i timoni e le ruote. Sul retro è provvisto di un catarifrangente rosso, mentre su un fianco sono inchiodate due targhe metalliche di identificazione. usato per il trasporto di merci e materiali vari nei lavori interni trainato da un cavallo

A piedi per sentieri

Nel Medioevo la strada Romipeta, conduceva i pellegrini a Roma lungo la Val Tiberina, strada attestata in un itinerario descritto minuziosamente, ad uso dei pellegrini, databile a circa il 1200.
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Bagno di Romagna
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Nel Medioevo la strada Romipeta, conduceva i pellegrini a Roma lungo la Val Tiberina, strada attestata in un itinerario descritto minuziosamente, ad uso dei pellegrini, databile a circa il 1200.